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lunedì 27 agosto 2012

La civiltà del fiume

La civiltà del fiume

La civiltà del fiume . La civiltà della Vecchia Flaminia. E quel ponte meraviglioso che le intrecciava.

Prima che l’abbandono e l’indifferenza politica incrociassero saccheggi e ruberie, esisteva una strada lungo la quale paesi sonnacchiosi e curiosi crescevano con lo stesso ritmo lento e tortuoso. Su quella vecchia strada, sempre ordinata e pulita, sacra nel suo esser la “strada maestra” ( in
confronto alle tante alternative: strade sterrate, carraie, sentieri, stradelli e scorciatoie) generazioni di giovani si sono affacciati , trascorrendo le nottate estive a chiacchierare e fumare seduti sui parapetti, e bambini hanno osservato rispettosi il passaggio di auto e corriere, ragazze hanno passeggiato la domenica accompagnate dallo sguardo degli anziani seduti davanti alle tante osterie lungo il percorso. Le fermate delle poche corriere erano i luoghi dello scambio e dell’informazione, e il “viaggiatore”, ancora lontano dall’essere un agente di commercio, era in primo luogo vettore di novità, scandali e storie lontane. E poi gli ambulanti vocianti, i bambini in fila indiana verso la scuola elementare, e le nevicate, e le tante fontanelle e le poche lampadine la notte. La strada maestra, lontanissima e nemica nello spirito da mura e fortificazioni: luogo aperto e di scambio, luogo d’incontro. Oggi interi tratti sono oggetto di ruberie, di saccheggi, nell’indifferenza di chi dovrebbe e di chi potrebbe. Interi manufatti vengono rubati, annunciando disastri futuri cui nessuno porrà mano, cunette e parapetti abbandonati, la vegetazione che si fa coraggio riversandosi sulle carreggiate. E lungo il percorso le tante meravigliose passerelle, prima ancora delle deviazioni e dei diverticoli segnalavano la potente presenza di fiumi e torrenti, presenza culturale e affettiva prima ancora che fisica ; vero luogo di passaggi adolescenziali, dei riti della gioventù, presenza di gioco e lavoro. Il fiume dove trascorrere le interminabili giornate estive, tra argini ombrosi,cicaleccio e giunchi,vene d’acqua alle quale dissetarsi. Il fiume dove abbeverare animali e a maggio le greggi da lavare e tosare, il fiume per annaffiare orti e coltivazioni discrete, o il fiume da cui cavare qualche palata di ghiaia e sabbia. O pietre. Il fiume dei bagni, degli scherzi e della pesca di frodo; o semplicemente il fiume nel quale tirare sassi.
Regalo queste foto a chi si emoziona ancora passeggiando lungo un argine, a chi trova ancora il tempo di sedersi sopra un muretto, a chi si reca a piedi ad una fontana, a chi guada ancora gorghi e pozze e attraversa ponti e passerelle guardando attorno, cercando qualcosa. A chi si emoziona soffrendo per quelle pietre profanate, vilipese, rubate. E anche a quanti non capiscono, fuggendo velocissimi lungo i propri rassicuranti rettilinei, le parole di quel ponte che queste storie, e queste culture unisce ed intreccia da sempre. Impassibile. Resistendo.
 
Toni Matteacci


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