INCONTRO CON L´AUTORE: SILVIA
CECCHI.
La serie di incontri con gli
autori, patrocinata dal comune di Cagli e organizzata dall´associazione
culturale Contemporaneo, è proseguita domenica 22 aprile. Protagonista di
questo incontro è stata Silvia Cecchi, magistrato di Pesaro. Silvia oltre a
saggi giuridici, si è occupata anche di raccolte di poesie e testi narrativi,
ed è diplomata in pianoforte.
Il suo "Giustizia relativa e pena
assoluta" (ed. Liberilibri) è un saggio sulla giuridicità della pena carceraria.
Il libro, visto l´argomento, ha suscitato ben presto polemiche nell´opinione
pubblica che di cattivo occhio vede la possibilità di sostituire la pena
detentiva con altre forme di retribuzione-punizione. Ma cosa ha spinto Silvia
Cecchi ha scrivere questo libro? Fondamentalmente la necessità di questo saggio
nasce da un disagio professionale che porta ad avere crisi di coscienza. La
pena purtroppo non tiene presente della totalità della persona ed il reato va
considerato anche nella sua modalità d´attuazione. Quando si parla di reati
penali, alla gente viene subito alla mente l´omicidio, la rapina, lo stupro, il
sequestro...ma non solo di questi reati si risponde penalmente. Rientrano in
questa categoria anche i reati contro il patrimonio, reati d´opinione, reati
fiscali o finanziari. Per questo la pena unica e indifferenziata della
detenzione, di cui l´unica forma di graduazione consiste nella sua diversa
durata, non è né etico e né morale. Alle volte la pena detentiva risulta
sproporzionata se confrontata all´entità del reato commesso. L´ideologia
totalitaria risulta errata proprio perché totalitaria. Non viene negata la
necessità di prendere provvedimenti di fronte ai reati, ma ci si chiede se non
ci sia una pena alternativa di "riabilitazione sociale". Tanto più che
l´esperienza ha dimostrato che quasi sempre la prigione alimenta nel reo ancor
più aspri sentimenti di rivalsa sulla società e lo educa al delitto, piuttosto
che rieducarlo all´equilibrio sociale. La grande esclusa nel processo legale è
la vittima del reato. Essa non viene mai nominata nella sentenza. La vittima
però va conosciuta. Il suo trauma non si consuma in un momento ma dura un tempo
non definibile. Il dolore non verrà mai cancellato, ma ci può essere una
"ricompensa". Giustizia non verrà mai fatta poiché l´uomo può cercare di
diminuire le sofferenze delle vittime, ma non riuscirà mai a cancellarle. Per
questo il compito fondamentale della giustizia è quello di rendere la
convivenza meno tragica possibile. L´inclusione della vittima nell´analisi del
processo penale può far cambiare ottica e far sì che la pena data al reo sia
responsabile ed impegnativa. Ma l´introduzione di questa forma di pena
indifferenziata, quale è la pena detentiva, risulta non solo affittiva del
corpo e dell´anima del detenuto, ma è devastante anche per i suoi familiari.
Insomma, piuttosto che alleviare sofferenze, va anzi a crearne delle nuove. In
diversi ordinamenti stranieri sono state già sperimentate sanzioni alternative
alla detenzione e Silvia Cecchi ci pone di fronte questo dilemma di civiltà
chiedendosi se andrebbe dunque ripensata anche nel nostro paese la possibilità
di trovare alternative alla pena unica e indifferenziata del carcere.
Jen ^_^
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