Imbecillità reale e percepita autore: Leone Pantaleoni (Enigmista) |
Come accade con la temperatura, vi sono una imbecillità reale e una imbecillità percepita. La prima è quella che verrebbe millimetricamente quantificata se soltanto esistessero strumenti capaci di farlo. Proprio sulla falsa riga del famoso applausometro (ricordate?) che pure, un po' scioccamente, nel tener conto del solo rumore, non distingueva tra numero e forza del singolo battimani. La seconda è la stupidità come viene epidermicamente assunta. Ancor prima di prenderne coscienza, cioè. Esempio non raro di stupidità reale è quello del conducente che, nel sorpassare l'auto ferma davanti alle zebre, rischia di travolgere ignari e malcapitati pedoni che stanno attraversandole. Caso pratico, come si vede, che può far rima con drammatico. Esempio classico di stupidità percepita, invece, è quasi sempre il disagio sùbito provocato da quanto subìto. Dalla entità del danno, insomma. Non è infatti vero che la bella signora vorrebbe istintivamente strozzare chi le ha rovinato l'abito nuovo con il gelato? E non è altrettanto vero che se soltanto le nostre mani non si fossero fuse al contatto, una strizzatina di collo vorremmo darla a chi ci ha appena passato il manico del padello senza avvertirci che era incandescente? E c’è, infine, anche una stupidità non percepita. E non è percepita semplicemente perché - irresistibile potenza dell'umano egoismo – essa è nostra ed unicamente nostra. Si tratta di quando, in attesa d'ascensore, rivolti a chi ce lo ha soffiato da sotto il naso, ce la prendiamo bestialmente col dire: - Proprio adesso doveva chiamarlo questo imbecille? - Senza minimamente riflettere che secondo tale logica-boomerang, se soltanto le parti si fossero invertite, avremmo dovuto dar dell’idiota a noi stessi.
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