Il testamento biologico tra diritto vigente e legislazione futura
Il brano che segue è un breve 
stralcio tratto dalla relazione scritta dell’intervento tenuto 
all’incontro organizzato a Cagli (PU) dall’Associazione Contemporaneo “Dopo la vita prima della morte – Libertà, diritto ed etica nelle scelte di fine vita” con Antonio Moresco, Salvatore Frigerio e Stefano Manfucci.
«Il problema del fine-vita, nel cui 
spazio il testamento biologico si inserisce, è emerso in tutta la sua 
drammaticità negli ultimi anni grazie al progresso tecnico scientifico 
della medicina che ha permesso la scoperta e la realizzazione di 
tecniche sanitarie sempre più complesse e sofisticate che, sia grazie 
alla scoperta di nuovi farmaci, sia alla elaborazione di macchinari 
tecnologicamente avanzati, hanno sempre più allontanato nel tempo il 
momento del fine della vita. La potenza della tecnica è riuscita a 
creare uno spazio nuovo, tra la vita e la morte, una specie di limbo, 
uno spazio di vita artificiale all’interno del quale sono state messe in
 crisi tutte le concezioni e le convinzioni umane sul significato della 
vita e della morte, coinvolgendo problemi morali, filosofici, giuridici e
 religiosi. E’ in questa terra di nessuno, tra la vita e la morte, che 
sorge la necessità di regolamentare l’azione umana attraverso 
l’elaborazione di principi giuridici e norme di legge che, nel rispetto 
delle personali convinzioni etiche individuali, si pongano però in 
un’ottica di libertà e di universalità, in quanto la legge si rivolge a 
tutti i cittadini e non solo ad una parte di essi che incarna una 
determinata visione del mondo.
I casi noti di Eluana Englaro e di 
Piergiorgio Welby e le violente contrapposizioni, anche ideologiche, che
 ne sono seguite tra i sostenitori dell’una o dell’altra altra visione e
 interpretazione del problema, hanno messo in luce questa necessità, che
 il diritto ha il compito di affrontare andando a colmare le lacune che 
lo spazio vuoto del “fine vita” presenta, ma non per normare la vita e 
la morte secondo categorie standardizzate a priori, quanto piuttosto per
 permettere che tale “spazio vuoto” possa essere affrontato da ciascuno 
in piena libertà di coscienza e di autodeterminazione; compito del 
diritto è quello di predisporre e garantire gli strumenti giuridici 
affinché ciò sia possibile e conseguentemente anche gli strumenti di 
controllo della trasparenza e conformità delle azioni individuali alla 
legge ed alla effettiva volontà manifestata.
E’ quindi auspicabile un “diritto mite”,
 per usare una nota definizione di un grande giurista, un diritto che 
non pretenda di imporre a tutti una concezione della vita, del dolore o 
della morte, ma rispetti l’identità e la libertà di ciascuno offrendo 
gli strumenti perché possano esprimersi.»




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